L’International Journal of Nursing Studies ha dedicato un numero interamente allo studio della turnistica degli infermieri/ostetriche e ai suoi effetti sull’assistenza e sul benessere dei professionisti. I diversi articoli pubblicati hanno toccato tematiche differenti tra cui: la durata variabile del turno (8 ore o più) la qualità di vita, del sonno, il rischio di obesità, l’impatto sull’assistenza dei pazienti.
Lavorare un numero maggiore di ore è associato ad un aumentato rischio di assenza per motivi di salute.
La durata dei turni e lo schema della turnistica rappresentano da anni un problema irrisolto a livello internazionale, molte sono le sperimentazioni possibili, quella più utilizzata negli ultimi anni è la programmazione di turni della durata di 12 ore. Questa scelta generalmente è dettata dal numero limitato di infermieri/ostetriche qualificati che spinge ad organizzare la turnistica nel modo più efficiente possibile.
I turni “allungati” possono essere utilizzati per ridurre il numero effettivo di cambi turno quotidiano, con un passaggio da 3 a 2 e la sovrapposizione di infermieri/ostetriche e dei relativi passaggi di consegna.
La ragione che spinge le direzioni a scegliere questo tipo di programmazione è spesso incentivata dall’aumento della produttività sottostante e dal risparmio delle risorse, ma le evidenze ad oggi disponibili non dimostrano questo.
Alcuni studi hanno infatti evidenziato che lavorare un numero maggiore di ore è associato ad un aumentato rischio di assenza per motivi di salute, non realizzando quel quadro di efficacia e di buon utilizzo delle risorse nemmeno a livello economico. Altri studi hanno visto gli infermieri/ostetriche essere più a rischio di commettere errori, con un aumento delle missed care (cure mancate) e una minor sicurezza per il paziente.
Nonostante molti infermieri preferiscano il turno lungo le ripercussioni sulla loro salute non sono poche, tra cui: il rischio di fatigue, burnout e una maggiore intenzionalità ad abbandonare la professione.
Turni da 12 ore e impatto sul lavoro degli infermieri/ostetriche.
Un recente studio qualitativo ha indagato quale fosse l’esperienza e la percezione degli infermieri che facevano turni da 12 ore, attraverso delle interviste, in reparti di salute mentale inglesi.
Questo tipo di turnistica richiede agli infermieri di lavorare 12 ore per 3 giorni su 7, più un turno addizionale al mese (sempre da 12 ore), per raggiungere un adeguato monte ore. Alcuni infermieri hanno riferito che, con il nuovo turno allungato, venivano meno le occasioni di confronto fra colleghi e mancavano i momenti di sovrapposizione che permettevano anche di svolgere quelle attività, non ritenute strettamente essenziali, ma che aumentano la qualità dell’assistenza al paziente (come ad esempio accompagnare il paziente fuori dal reparto, occuparsi maggiormente degli aspetti relativi alla cura di sé dei degenti).
Tutte queste azioni elencate, oltre ad aumentare la qualità dell’assistenza ai pazienti, gratificano anche maggiormente gli operatori nello svolgimento del proprio lavoro.
Altri infermieri hanno invece riportato di avere con le 12 ore un maggior controllo e responsabilità sul proprio turno, iniziando e terminando il proprio lavoro, senza ulteriori cambi che rappresenterebbero un elemento di disturbo nell’organizzazione del proprio operato.
Turni da 12 ore e impatto sulla salute degli infermieri/ostetriche.
I turni da 12 ore hanno anche importanti ripercussioni a livello della salute fisica; molti infermieri/ostetriche riferiscono, infatti, una fatica estenuante a fine turno che si ripercuote anche a livello psicologico, tanto che mantenere un sorriso per i pazienti diventa difficile. Il livello di energia tende quindi a ridursi durante l’arco temporale delle 12 ore portando gli infermieri/ostetriche a concentrarsi maggiormente sulle attività ritenute prioritarie.
L’impatto della turnistica è sia dentro che fuori l’ambiente di lavoro e le conseguenze possono vedersi anche a livello emotivo e sociale.
Alcuni intervistati hanno dichiarato di aver sperimentato una sensazione di isolamento e una minore relazione ed interazione con i colleghi, anche inerente lo scambio di buone pratiche e il tempo di “riflettere insieme” sul lavoro.
Taluni infermieri/ostetriche hanno conciliato i turni da 12 ore con le esigenze di vita personale trovando un equilibrio, altri invece, soprattutto con l’aumentare dell’età, hanno patito la minore flessibilità nei cambi turni, con un peggioramento della loro qualità di vita. Alcuni infermieri/ostetriche hanno esplicitato un livello di stanchezza talmente elevato da essere poi costretti a recuperare con un riposo prolungato nei giorni in cui non erano in servizio.
Dall’esperienza degli infermieri/ostetriche intervistati emerge che i turni tradizionali consentono agli infermieri di passare del tempo con la propria famiglia prima o dopo il turno, mentre le 12 ore sembrano portar via maggior tempo passando troppe ore senza vedersi. Tra gli aspetti negativi emersi è stato riportato anche un livello di ansia maggiore per il rientro al lavoro, laddove non si conoscono più i pazienti, a causa dell’elevato turnover, con una conseguente difficoltà nell’organizzare l’assistenza.
Infine il lavoro su turni, come già precedentemente studiato, sembra poi esporre maggiormente (del 12%) gli infermieri, specialmente coloro che lavorano prevalentemente di notte, ad un rischio di obesità. Tale rischio può essere arrecato all’adozione di stili di vita ed alimentari errati, quali il salto di alcuni pasti (ad esempio la colazione) o il mangiare ad orari sfalsati; inoltre l’esposizione alla luce durante le ore notturne può provocare una riduzione nella produzione di melatonina, fondamentale per riposare adeguatamente.
Tutti questi fattori devono continuare ad essere oggetto di studio e valutati costantemente dalle organizzazioni per tutelare la salute dei professionisti e degli utenti, tenendo a mente che la relazione infermiere/ostetrica-paziente non è univoca, ma bidirezionale e che la qualità dell’assistenza erogata si traduce in una maggiore soddisfazione dell’operatore, una minor incidenza di burnout e migliori esiti di cura.